Cause di recessione

Cause della riduzione della popolazione di orsi sull'arco alpino

I principali fattori cui è legata la progressiva scomparsa dell'orso da gran parte dell'arco alpino possono essere così schematicamente riassunti. In una prima fase, conclusasi tra il XVIII e il XIX secolo si è avuta innanzitutto una persecuzione diretta sempre più accanita e dotata di mezzi tecnicamente sempre più evoluti, ma anche una drastica riduzione dell'habitat idoneo per l'orso e, quindi, dell'areale distributivo della specie. Ciò a causa delle mutate condizioni socioambientali conseguenti, essenzialmente, ai vasti disboscamenti, realizzati per aumentare la disponibilità di pascolo per il bestiame domestico e al progressivo capillare utilizzo degli ambienti montani. In questa prima fase, le possibilità di conservazione della specie rimanevano tuttavia ancora buone. A fronte di un'indubbia riduzione delI'areale complessivo, soprattutto nella sua porzione centro-occidentale, gli ambienti non compromessi erano ancora abbastanza vasti da poter ospitare popolazioni in grado di autosostenersi.

A riprova di ciò si riportano alcuni dati relativi alle uccisioni effettuate in tale periodo. In Valtellina, tra il 1873 ed il 1879, si ha notizia dell'uccisione di 49 orsi. In base a questi dati è possibile stimare per il territorio lombardo una densità di circa 1,5-3 individui per 100 km2. Considerazioni simili possono essere effettuate anche per il gruppo di Brenta (che presenta un'estensione di circa 600 km2), nel quale, tra il 1880 ed il 1925, sono state segnalate una media di 13 ± 2,9 uccisioni per decennio; da tale valore, relativamente costante nel periodo storico considerato, si può in media supporre una presenza minima di almeno 10-16 orsi che, riferiti all'area considerata, forniscono stime di densità pari a 1,7-2,7 individui per 100 km2. A partire dal 1850, la persecuzione diretta, realizzata in ogni stagione e con ogni mezzo diventava con il tempo sempre più efficace. Il crescente sfruttamento agricolo e zootecnico del territorio (anche) montano (che vide la sua fase di massima espansione nel periodo compreso tra le due guerre mondiali), contribuì a rendere diffusa e capillare la distribuzione antropica, riducendo al minimo i territori caratterizzati da un alto grado di naturalità disponibili per la fauna selvatica.

 

L'effetto sinergico delle modificazioni sopra richiamate probabilmente aumentò le capacità di controllo delle popolazioni animali anche negli angoli più selvaggi del territorio. Recentemente è stato rilevato come le uccisioni illegali e la mortalità per investimento sembrino positivamente correlate con la facilità di accesso umano ad un'area (Powell et al. 1997). Già nel 1889 il periodico "Diana Suisse", organo ufficiale dell'Associazione dei Cacciatori Svizzeri, rilevava la necessità di abolire i premi sulla cattura degli orsi ed avanzava la richiesta di attivare un fondo per la rifusione dei danni, al fine di evitare l'estinzione del plantigrado.

La causa ultima dell'estinzione dell'orso è quindi probabilmente da ricercarsi, più che nelle mutate condizioni ambientali (che pure hanno avuto un ruolo importante), nella persecuzione diretta operata dall'uomo che ha via via assunto un'efficienza maggiore. Lo sfruttamento agricolo e zootecnico capillare degli ambienti montani ha sicuramente contribuito a rendere maggiormente problematico il rapporto orso-uomo (maggiori danni, minore tolleranza) e a rendere più efficace l'opera di persecuzione cui la specie veniva sottoposta. incentivata anche a più riprese dal pagamento di taglie per gli orsi uccisi. Analizzando nel dettaglio le informazioni relative agli orsi abbattuti nell'ultimo secolo e mezzo si nota come nelle Alpi centrali vengano riportate notizie relative all'uccisione di 192 orsi (di cui 84 nel gruppo del Brenta), che rappresenta senza dubbio un numero notevolissimo. Il grosso degli abbattimenti cessa in Lombardia nel 1910, nel Trentino-Alto Adige nel 1915 e in particolare nel gruppo del Brenta nel 1925; in ogni caso, prima che la specie venisse protetta con il Testo Unico sulla Caccia (n. 1016 del 1939).

 

Si può notare come a cavallo degli anni '30, periodo in cui la caccia all'orso era ancora accettata e incentivata, sembri collocarsi una significativa diminuzione degli orsi uccisi. Ciò potrebbe essere imputabile a due ordini di fattori. Da una parte, come testimonia la progressiva e costante regressione dell'areale del plantigrado sull'arco alpino, è verosimile che la diminuzione degli esemplari uccisi possa essere messa in relazione a una diminuzione generale delle consistenze della popolazione. Altrettanto importanti sono probabilmente i concomitanti mutamenti sociali che a partire dagli anni '40-50 hanno portato al progressivo spopolamento del territorio alpino e quindi ad una minor incidenza delle uccisioni e delle azioni di bracconaggio. Ciò che appare maggiormente probabile è che la protezione della specie (o comunque la diminuzione della persecuzione diretta) sia stata avviata tardivamente, quando ormai la popolazione aveva raggiunto consistenze tali da risentire dei possibili fattori di rischio (genetici e demografici) particolarmente critici per le popolazioni di piccole dimensioni.

La dinamica di popolazione dell'orso è caratterizzata da tassi di incremento estremamente bassi. La storia passata mostra come l'accrescimento delle popolazioni possa essere fortemente influenzato dalla mortalità causata dall'uomo. Le piccole dimensioni di popolazioni isolate, quale sicuramente può essere già considerata quella trentina negli anni '40-50, già di per sé rappresentano una minaccia di possibile estinzione per semplici motivi stocastici (Lande 1988). Se a questo si aggiunge che la quota di individui uccisi illegalmente a partire dal 1940 di cui si possiede documentazione non è insignificante (in base alle segnalazioni accertate, si può calcolare che dal 1940 al 1972 in media sono stati illegalmente uccisi 3,6 orsi ogni 5 anni), si può concludere che la popolazione ha probabilmente raggiunto una soglia numerica critica già negli anni '50.

Il progressivo aumento, a partire dal dopoguerra, delle presenza turistiche nell'area ha sicuramente contribuito a ridurre ulteriormente il territorio disponibile per la specie, in quanto l'orso tende a evitare le zone interessate da un'intensa attività umana. Lo sfruttamento delle foreste rende indispensabile la costruzione di sempre nuove vie di penetrazione nelle aree boscate. Il conseguente incremento delle attività ricreative negli habitat occupati dall'orso causa di norma una scarsa o nulla frequentazione delle aree maggiormente disturbate. Questo fattore può tuttavia considerarsi una causa secondaria del regresso della popolazione, infatti l'aumento della pressione turistica diminuisce la qualità complessiva degli habitat, ma non sembra avere alcuna influenza diretta sui tassi di mortalità.

(Fonte "Studio di fattibilità per la reintroduzione dell'orso bruno sulle Alpi italiane INFS - PNAB")